di Claudia Fusani
Ha in mano un certificato di morte col suo nome, maresciallo Marco Diana, c’è scritto defunto.Mavivaddio il maresciallo Marco Diana è qui davanti a noi, un uomo sofferente, l’intestino ridotto a poco più diun pugno, vede poco, parla a fatica, maindossa fiero la divisa e il basco dei granatieri di Sardegna con tutte le sue medaglie. «Vedete - dice mostrando il certificato classificato segreto e col timbro della Direzione generale della sanità - c’è scritto che sono stato dichiarato morto il 20 maggio del 2004... L’unica cosa vera è che il ministero della Difesa non paga le cure dei propri militari ammalati per cause di servizio».
La causa di servizio in questione si chiama «metalli pesanti », sostanze che si sprigionano in quantità tossiche da mercurio, cromo, cadmio, arsenico, piombo e uranio, i veleni che per anni hanno respirato i nostri militari impegnati in zone di guerra, dalla Somalia al Kosovo, prima che diventasse ufficiale e dimostrato che l’esposizione a certi proiettili provocava tumori senza appello. Marco Diana ha 41 anni, ne aveva 29 quando si è ammalato e ha dovuto lasciare il servizio, da dodici combatte contro la malattia. «È dal 1998 che mi danno 7 giorni di vita» precisa. È da allora che lotta prima per dimostrare che il cancro è causato dai proiettili maneggiati in dieci anni di carriera militare a fare il missilista. Poi, per avere quei soldi a cui ha diritto e che gli sono necessari per pagare le cure indispensabili per sopravvivere. Si vede che nel frattempo il ministero ha risolto la questione dichiarandolo morto.
Il caso Marco Diana è molto conosciuto da chi naviga su internet. Ma la politica non se n’era mai interessata. Ieri mattina il radicale Maurizio Turco, che ha tenuto a battesimo pochi mesi fa il Partito per la tutela dei diritti dei militari, ha convocato una conferenza stampa a Montecitorio e ha chiesto al missilista di Villamassargia, Sardegna, di raccontare la sua storia. Può essersi ammalato ovunque, in Bosnia come in Somalia. In Africa è stato responsabile della scorta per le carovane che trasportavano armi e missili e altro sotto la bandiera della Nato. mezzi che poi dovevano essere sottoposti a bonifica nucleare, biologica e chimica prima di essere imbarcati di nuovo per l’Italia.
10 MORTI DAL ‘70 AL 2000
Diana parla a fatica, molto a rilento. Vuole indossare anche il casco dei Granatieri di Sardegna, non che ce ne sia bisogno, ma giusto per rimarcare l’orgoglio della maglia. Accanto a lui anche Luca Comellini, segretario del Partito dei diritti dei militari. Diana legge i passaggi delle sentenze chehanno dimostrato il nesso di causalità tra il cancro che gli è stato diagnosticato (uno dei 5 più gravi) e l’attività di militare.«Non è rimasto molto dentro dime- spiega - nel mio corpo ci sono migliaia di metastasi. Ho un badante che mi assiste 24 ore su 24 e vedo pochissimo. E’ dal '98 che mi danno 7 giorni di vita». Se è ancora vivo è proprio grazie alle terapie sperimentali a cui si (Istituto Veronesi), «non tutto è coperto dal servizio sanitario nazionale» e si riferisce a tac, ecografie, visite di controllo. Va avanti con le offerte e il buon cuore di chi conosce il suo caso. «Un anno fa il ministro della Difesa La russa si era impegnato in unalettera trasmessa al parlamento, dopo decine di interpellanze, che le spese delle mie cure fossero tutte pagate». Invece «non è successo nulla», anche al comando militarenon è stato comunicato niente. In compenso è comparso il certificato che attesta l’avvenuta morte del maresciallo Marco Diana, datato 2004. Una carta segretata che Diana è riuscito ad avere solo poco tempo fa. E’ della direzione generale della Sanità militare ed è stata depositata in Parlamento. C’era il ministro La Russa ieri alla Camera. «Mi ricordo bene del caso,manon so cosa sia successo: verificherò» ha tagliato corto. Secondo Diana, che dice di avere la documentazione, sono «diecimila i ragazzi morti dal 1970 al Duemila per le esposizioni ai metalli pesanti». Il 2 giugno hanno dato la medaglia a 5 cani poliziotto. Con quelli comeDiana si fa finta che non ci siano.
Ha in mano un certificato di morte col suo nome, maresciallo Marco Diana, c’è scritto defunto.Mavivaddio il maresciallo Marco Diana è qui davanti a noi, un uomo sofferente, l’intestino ridotto a poco più diun pugno, vede poco, parla a fatica, maindossa fiero la divisa e il basco dei granatieri di Sardegna con tutte le sue medaglie. «Vedete - dice mostrando il certificato classificato segreto e col timbro della Direzione generale della sanità - c’è scritto che sono stato dichiarato morto il 20 maggio del 2004... L’unica cosa vera è che il ministero della Difesa non paga le cure dei propri militari ammalati per cause di servizio».
La causa di servizio in questione si chiama «metalli pesanti », sostanze che si sprigionano in quantità tossiche da mercurio, cromo, cadmio, arsenico, piombo e uranio, i veleni che per anni hanno respirato i nostri militari impegnati in zone di guerra, dalla Somalia al Kosovo, prima che diventasse ufficiale e dimostrato che l’esposizione a certi proiettili provocava tumori senza appello. Marco Diana ha 41 anni, ne aveva 29 quando si è ammalato e ha dovuto lasciare il servizio, da dodici combatte contro la malattia. «È dal 1998 che mi danno 7 giorni di vita» precisa. È da allora che lotta prima per dimostrare che il cancro è causato dai proiettili maneggiati in dieci anni di carriera militare a fare il missilista. Poi, per avere quei soldi a cui ha diritto e che gli sono necessari per pagare le cure indispensabili per sopravvivere. Si vede che nel frattempo il ministero ha risolto la questione dichiarandolo morto.
Il caso Marco Diana è molto conosciuto da chi naviga su internet. Ma la politica non se n’era mai interessata. Ieri mattina il radicale Maurizio Turco, che ha tenuto a battesimo pochi mesi fa il Partito per la tutela dei diritti dei militari, ha convocato una conferenza stampa a Montecitorio e ha chiesto al missilista di Villamassargia, Sardegna, di raccontare la sua storia. Può essersi ammalato ovunque, in Bosnia come in Somalia. In Africa è stato responsabile della scorta per le carovane che trasportavano armi e missili e altro sotto la bandiera della Nato. mezzi che poi dovevano essere sottoposti a bonifica nucleare, biologica e chimica prima di essere imbarcati di nuovo per l’Italia.
10 MORTI DAL ‘70 AL 2000
Diana parla a fatica, molto a rilento. Vuole indossare anche il casco dei Granatieri di Sardegna, non che ce ne sia bisogno, ma giusto per rimarcare l’orgoglio della maglia. Accanto a lui anche Luca Comellini, segretario del Partito dei diritti dei militari. Diana legge i passaggi delle sentenze chehanno dimostrato il nesso di causalità tra il cancro che gli è stato diagnosticato (uno dei 5 più gravi) e l’attività di militare.«Non è rimasto molto dentro dime- spiega - nel mio corpo ci sono migliaia di metastasi. Ho un badante che mi assiste 24 ore su 24 e vedo pochissimo. E’ dal '98 che mi danno 7 giorni di vita». Se è ancora vivo è proprio grazie alle terapie sperimentali a cui si (Istituto Veronesi), «non tutto è coperto dal servizio sanitario nazionale» e si riferisce a tac, ecografie, visite di controllo. Va avanti con le offerte e il buon cuore di chi conosce il suo caso. «Un anno fa il ministro della Difesa La russa si era impegnato in unalettera trasmessa al parlamento, dopo decine di interpellanze, che le spese delle mie cure fossero tutte pagate». Invece «non è successo nulla», anche al comando militarenon è stato comunicato niente. In compenso è comparso il certificato che attesta l’avvenuta morte del maresciallo Marco Diana, datato 2004. Una carta segretata che Diana è riuscito ad avere solo poco tempo fa. E’ della direzione generale della Sanità militare ed è stata depositata in Parlamento. C’era il ministro La Russa ieri alla Camera. «Mi ricordo bene del caso,manon so cosa sia successo: verificherò» ha tagliato corto. Secondo Diana, che dice di avere la documentazione, sono «diecimila i ragazzi morti dal 1970 al Duemila per le esposizioni ai metalli pesanti». Il 2 giugno hanno dato la medaglia a 5 cani poliziotto. Con quelli comeDiana si fa finta che non ci siano.